“Decisamente Straordinari nell’Apprendere”: conosciamo da vicino i DSA e sfatiamo falsi miti e tabù
- Progetto Baby Space
- 24 apr
- Tempo di lettura: 6 min
Un piano educativo personalizzato e giochi didattici appositamente studiati possono fare la differenza nell’aiutare bambini e bambine con disturbi specifici dell’apprendimento.
Ce lo hanno raccontato Michela Franch, designer, docente e fondatrice di LALAO, e Laura Pederzani, pedagogista esperta in DSA
“È pigro. È svogliato. Potrebbe fare di più, ma non si applica. Si distrae in continuazione, ha sempre la testa altrove”. Quante volte abbiamo sentito gli insegnanti pronunciare queste parole a scuola? A noi, al nostro compagno di classe, ai nostri figli. Io ricordo perfettamente il mio compagno di banco in prima media: leggeva con fatica a voce alta sillabando le parole e seguendole col dito, scriveva confondendo le p e le b. La professoressa di italiano inizialmente aveva rimproverato il suo scarso rendimento, poi aveva smesso del tutto di farci caso, forse considerandolo una causa persa. A volte mi capita di ripensare a Paolo – così si chiamava il mio compagno di banco – e di chiedermi se fosse davvero soltanto pigrizia, la sua, o al contrario un problema diverso: una difficoltà a stare al passo con i metodi tradizionali di insegnamento a causa, magari, di una dislessia. Se così fosse stato, infatti, cioè se Paolo avesse effettivamente avuto un problema di questo tipo e se questo problema fosse stato riconosciuto, si sarebbe potuti intervenire con metodi didattici specifici per migliorare le sue capacità di lettura e scrittura. Ma erano gli anni Novanta e allora questo genere di problematiche nel rendimento scolastico si imputavano ancora per la maggior parte a negligenza o – nel peggiore dei casi – a scarsa intelligenza.

Oggi, invece, sappiamo che la dislessia e più in generale tutti i DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) non sono malattie o disturbi clinici, non sono il sintomo di un’intelligenza scarsa o difettosa, ma una caratteristica e un funzionamento differente del cervello. Ciononostante, spesso sono proprio i genitori a rifiutare l’idea che il proprio figlio o la propria figlia possano avere un DSA. Perché questo, nonostante gli enormi passi in avanti fatti dalle neuroscienze e dalla pedagogia, è un tema in parte ancora tabù. Proprio per rompere la cortina di pregiudizi attorno ai DSA, Baby Space ha organizzato un approfondimento ad hoc
durante la diretta di aprile. Se ve la siete persa, trovate il link alla live a piè di pagina.
Ospiti della puntata sono state Michela Franch, designer e docente che ha fondato LALAO – Imparare giocando, e Laura Pederzani (Studio Edupoint), pedagogista esperta in processi di apprendimento e bisogni educativi speciali.
L’incontro si è ovviamente concentrato ad esplorare il tema dei DSA in modo chiaro e accessibile, per sfatare falsi miti e pregiudizi, scoprire come rendere l’apprendimento più inclusivo, riconoscere i primi segnali di difficoltà e usare il gioco come alleato per crescere e
apprendere con serenità. Ma soprattutto, la diretta è servita a ribaltare il punto di vista, a vedere le cose da un’altra prospettiva. Ad esempio, cominciando a pensare che i bambini e le bambine con DSA non siano non abbiano un difetto rispetto agli altri loro coetanei, ma siano…
Decisamente straordinari nell’Apprendere!

Come si riconoscono i DSA
Come ben spiegato sul portale dell’AID – Associazione Italiana Dislessia, in genere i segnali più importanti sono un’evidente difficoltà nell'apprendimento della lettura e della scrittura. Ecco perché, in genere, la diagnosi dei DSA avviene solo dopo la fine della seconda classe della primaria. Alcuni indicatori precoci, però, possono essere individuati già dalla scuola dell'infanzia: in questo caso, bisogna prestare attenzione al linguaggio, che potrebbe svilupparsi in modo atipico.
In casi come questi, ci ha spiegato Laura Pederzani, «la prima cosa da fare, anche se forse è la più difficile, è ammettere che il proprio figlio o figlia è oggettivamente in difficoltà a scuola, anche se effettivamente si sta impegnando. Un bambino che ha difficoltà d'apprendimento, non è una persona che non è capace di imparare, è semplicemente una persona che impara in modo diverso! Se nonostante percorsi di potenziamento didattico-cognitivo, non ci sono miglioramenti e determinati meccanismi di lettura, scrittura, calcolo non riescono ad essere automatizzati ed interiorizzati, è il caso di rivolgersi al pediatra per chiedere l’avvio della pratica di certificazione di DSA».
Come offrire supporto a un bambino DSA
Come ci ha spiegato bene Laura, una volta che l’eccessiva “fatica scolastica” è stata diagnosticata come DSA, è opportuno valutare percorsi di potenziamento educativi/didattici ad hoc, che permettano al bambino di “sentirsi capace” e all'altezza del compito assegnato, avendo cura di confrontarsi con gli insegnanti di scuola. «In questi incontri, oltre a lavorare su potenziamento di lettura, scrittura, calcolo ecc, si prende dimestichezza anche con possibili strumenti dispensativi o compensativi che possono favorire il successo scolastico e si lavora anche sulle emozioni che una difficoltà d'apprendimento può portare al bambino stesso, per aumentare la sua motivazione e il senso di auto efficacia».

Giochi e materiali didattici divertenti. Un aiuto in più per i DSA
Di grande aiuto e supporto in questi casi sono i materiali e i giochi didattici, che possono davvero fare la differenza per uno studente con DSA. Di questo aspetto si occupa, nello specifico, proprio Michela Franch con LALAO, che nasce, come lei stessa ci ha raccontato, «dalla necessità di strumenti educativi alternativi, nel contesto scolastico, professionale e familiare. Personalmente credo in una didattica che sperimenti approcci innovativi, come il Game-Based Learning, volti a favorire un processo rapido e facilitato nell’acquisizione delle
competenze».

Strategie personalizzate per ogni bambino con DSA
Altrettanto importante è riuscire a dare risposte individualizzate, “cucite” se così si può dire rispettando l’unicità di ogni singolo bambino e bambina. Questa è la mission di Laura Pederzani come pedagogista. «Il mio lavoro – spiega – non è una cura, ma un prendersi cura. e la cosa più difficile da far capire in caso di DSA è che un percorso di potenziamento didattico non sono delle ripetizioni scolastiche o delle lezioni private, ma molto molto di più».

Imparare giocando: così si può favorire l’inclusione anche a scuola
Ma torniamo ai giochi didattici. Di cosa si tratta? Si usano a scuola o a casa? E come si usano, come possono aiutare uno studente con DSA? Michela Franch ha spiegato che si possono usare in tutti i contesti educativi. Anzi, spiega, «molti dei materiali che creo sono pensati proprio per essere utilizzati sia a casa che in classe, magari in piccoli gruppi o in momenti di recupero e potenziamento. Sono anche utili per ripassare un argomento e coinvolgere attivamente tutti gli alunni. Sono giochi semplici da preparare, con regole chiare e attività che si adattano facilmente ai diversi livelli, quindi vanno benissimo anche per insegnanti di sostegno, educatori o logopedisti. E il bello è che rendono l'apprendimento più leggero, ma sempre efficace. Il gioco a scuola non è una perdita di tempo, ma un modo intelligente e inclusivo di fare didattica».

Come trovare il gioco adatto? Ecco qualche consiglio
Con i giochi didattici inclusivi anche i genitori e le famiglie possono offrire un supporto in più al bambino nel tempo che trascorre a casa. Il momento del gioco si può così trasformare in un’utile potenziamento delle abilità del piccolo. Ma come capire se un gioco è adatto al bambino? Michela consiglia di osservare tre cose: il livello di difficoltà (che deve essere né troppo alto né troppo basso), la chiarezza delle regole e il tipo di abilità richieste. «Nel mio progetto creo giochi specialmente adatti ad alunni con DSA e BES, progettati proprio per
essere accessibili, motivanti e personalizzabili. Questo significa che le attività sono pensate per stimolare l’apprendimento senza creare ansia, con istruzioni semplici, materiali visivi chiari e possibilità di adattamento in base alle esigenze del bambino. Se vostro figlio partecipa volentieri, si sente capace e riesce a completare le attività con un pizzico di sfida ma senza scoraggiarsi, significa che quel gioco è adatto a lui. Se invece lo vedete in difficoltà o perde subito interesse, forse serve un gioco più semplice o con una modalità diversa. Ogni bambino è unico, quindi l’ideale è sempre osservare e sperimentare, partendo da giochi brevi e intuitivi. Il gioco giusto è quello che lo fa sentire capace, coinvolto e felice di imparare».

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